Qualunque tecnica sceglierai, con il processo di selezione delle fotografie (magari centinaia) che hai realizzato per il tuo progetto (per qualche suggerimento sugli aspetti pratici fai riferimento all'esercitazione 22) arriverai - per decantazione - a ottenere le 20-40-50 (o più) foto da utilizzare.
Un processo lento, anche psicologicamente difficile, ma che regala notevoli emozioni e fa crescere come artisti ed esseri umani. Ognuno potrà trovare la tecnica più appropriata ma, ribadisco, i punti cruciali sono 2:
Una volta raggiunto questo primo traguardo, arriva il momento di mettere in ordine il materiale, in modo che possa comunicare al pubblico il tuo messaggio nel modo più efficace.
Minor White nello scegliere le fotografie per le sue famose (e contestate) Sequenze si rifaceva al concetto di Equivalents di Stieglitz, abbondantemente rivisitato, e a volte tradito.
Sosteneva che "Quando si forma una sequenza, il sentimento interiore è quello di una tempesta che s'addensa. Solo quando la tempesta è passata e le foto sono sparse come foglie per terra posso scoprire in loro il nome che ha generato la comunicazione".
Infatti per Stieglitz, come osserva Giuliana Scimè in un suo articolo, l'autore prepara la metafora e l'osservatore deve "impegnarsi" a capirla, farla propria e risolverla in sintonia con il suo sentire.
In White il meccanismo alla base dell'equivalenza è portato all'estremo. E' insito nella foto, ma anche nell'osservatore, il quale è vincolato, in qualche modo, al volere dell'autore. Insomma le fotografie avrebbero un potere proprio, quasi magico, che avvolge e travolge chiunque le guardi.
Non è necessario, e forse nemmeno proficuo, che tu ti spinga a questi estremi di teorizzazione. Ma rifletterci può aiutarti a realizzare l'inevitabile, e cioè che l’editing non è, e non può essere, una scienza esatta. Io aggiungerei anche, "e per fortuna!".
Al contrario, è una parte integrante del processo creativo, tocca a te decidere lo spirito con cui farlo e porti l'obiettivo da raggiungere.
Per questo sostengo che, sebbene il fotografo sia il meno adatto a scegliere le foto, di certo è quello che ha l’interesse maggiore a fare scelte consapevoli, efficaci e soprattutto coerenti con il suo intento progettuale.
Ed è quindi difficile immaginare un percorso creativo completo nel quale il fotografo a un certo punto si sottragga completamente dalla responsabilità di definire la sequenza di immagini da mostrare al pubblico.
Bilanciando questo interesse con le consulenze esterne, si potrà ottenere un buon risultato, o meglio uno dei tanti risultati possibili tra quelli comunque validi. Tienilo a mente!
I passaggi che dovrai compiere sono grossomodo quelli che ti elenco qui, ma ognuno può scegliere il metodo che sente più adatto alle proprie esigenze, saltando o invertendo i vari step. Quindi lasciati ispirare, ma poi sentiti libero di uscire dagli schemi e non lasciarti ingabbiare da un metodo troppo rigido.
1- Individua la foto di apertura.
In verità possono anche essere più d'una, ma di rado questo è efficace. Diciamo che un trittico in apertura può starci, di più è ridondante.
La foto di apertura spesso è quella che ha dato il via al progetto, altre volte la individuiamo durante la lavorazione. Istintivamente sappiamo che quella foto ha le caratteristiche giuste:
Lo scopo della foto di apertura è piuttosto semplice, in teoria è come l'incipit di un romanzo. La guardi, e ti colpisce e nello stesso tempo ti incuriosisce al punto da spingerti a "entrare" nel progetto, a continuare a guardare le fotografie. Insomma, è una porta d'ingresso, che va socchiusa e non spalancata, solleticando la curiosità dello spettatore.
2- Ora sviluppa il tema. Il tema che ti sei dato e che auspicabilmente hai svolto è "sommerso" tra innumerevoli fotografie, alcune pertinenti, altre che in verità sono inutili e dispersive, anche se magari molto belle.
Diciamo che hai una pila, un gruppo di fotografie tra loro collegate in modo sottile, ma non ancora organizzate secondo una serialità logica, che può essere semplice o complessa, ma che va trovata.
Per sviluppare il tuo racconto, che sia una storia, un argomento, un tema, un luogo, avrai bisogno delle "parole" giuste e le parole sono le tue foto. Organizzale in pile più piccole e scegli quelle che, pur raccontando il tuo tema, sono anche le più visivamente intriganti e coinvolgenti.
3- Trova una degna chiusura. Lo spettatore che guarderà le tue foto (un libro, una mostra, una proiezione) ricorderà soprattutto le ultime foto viste. Perciò è estremamente importante che l'ultima, o le ultime immagini siano potenti e significative.
Lavorando il più delle volte su temi legati al paesaggio (nelle sue varie declinazioni e nei suoi vari significati), generalmente io organizzo i miei portfolios secondo uno schema multilineare: non ho bisogno di seguire rigidamente uno schema che racconti una storia dal suo inizio alla sua conclusione, come avveniva spesso nei reportages di una volta (pensa a W. Eugene Smith per un esempio notevolissimo).
Oggi i fotogiornalisti cercano, laddove possibile (visto che i reportage di ampio respiro sono diventati rari), di narrare la loro storia su più livelli, in modo articolato e con storie collaterali. E’ significativo notare come anche la letteratura o il cinema oggi preferiscano narrare storie grazie a strutture complesse, laddove un tempo la narrazione era decisamente più sequenziale.
Sebbene più rara, esiste anche la narrazione non lineare, multi raggiata, che può anche essere centrifuga o centripeta, cioè partire da un centro per dividersi in molti temi o viceversa, con molti elementi apparentemente diversi (che siano fatti, ambientazioni, luoghi, idee) convergono verso un centro per raccontare un argomento, che apparirà sfaccettato e tutto da interpretare.
Molto amata dai fotografi-artisti e dai creativi, questa narrazione è di complessa realizzazione soprattutto per il rischio di risultare incomprensibile (ricordi Minor White?). Spesso lo spettatore trova che non ci sia “né capo né coda” in un portfolio semplicemente perché non coglie l’ordine che invece esiste, ma è appunto contro-lineare.
Possiamo “montare” le foto collegandole rispettando una certa uniformità, o contrapponendole tra loro. Questo riguarda anche, ad esempio, le tonalità (una foto a toni caldi vicino una foto a toni freddi), ma anche l’inquadratura (una foto a campo ampio e una foto di dettaglio), la luce, e quant’altro.
Le transizioni tra le diverse foto portanti, quelle che rappresentano i mattoni stessi dell’edificio che stiamo costruendo, vanno scelte con cura. L’ideale è che il loro livello qualitativo sia pari alle altre, ma la loro funzione è di sottolineare un aspetto, che magari nelle foto portanti non viene messo in rislato, ma che aiuta a metterle in relazione. In altre parole, non sono fotografie “inferiori” a quelle principali, ma svolgono una funzione diversa, quasi di ponte tra un insieme di immagini e l’altro.
Quello che vogliamo ottenere, auspicabilmente, è il “third effect”, come lo chiamano gli autori americani. Il concetto si può esprimere con la formula 1+1=3.
In pratica mettendo vicine due foto, quel che si ottiene è di mostrare più di quello che è contenuto in ciascuna delle due. Due immagini affiancate possono insomma mostrare qualcosa che in realtà in nessuna delle due singole immagini è visibile direttamente.
Ognuna delle foto si rafforza e racconta qualcosa che il fotografo non ha concretamente fotografato, ma che è stato comunque capace di metterci.
Ci siamo. Hai selezionato le foto, gli hai dato una forma con una sequenza, seguendo da un lato l’argomento prescelto, dall’altro i temi e i contenuti iconografici delle foto.
Hai fatto delle scelte dolorose, e ora hai davanti (fisicamente o metaforicamente) le foto che si sono salvate dall’epurazione, e che saranno nel numero necessario per l’obiettivo che ti poni (poche se è per un portfolio nel vero senso del termine, tante se devi produrre un libro).
E adesso? E' arrivato il momento dei saluti?
No, ancora un attimo. Fatto tutto il lavoro vorrai ragionevolmente mostrare le tue immagini a qualcuno, no? Ma a quale scopo? Per un consiglio, una lettura, la selezione per una mostra o per una possibile pubblicazione? Oppure perché sei già pronto per la stampa di un libro o per l'allestimento di una mostra?
Il destinatario delle tue immagini non è un parametro indifferente.
Nel caso che tu lo voglia sottoporre al "giudizio" di un esperto, meglio seguire alcuni piccoli accorgimenti per rendere la lettura più "facile".
Considera che il portfolio che dovrai portare a qualche “lettura” o da far visionare “a chi se ne intende”, è meglio che non sia rigido. Nel senso che devi lasciare a chi osserverà le tue immagini la dovuta e necessaria libertà di poterle riorganizzare e visionare, anche al di fuori della cornice che tu hai inteso dare al progetto.
Per questo, se hai deciso che sarà composto da 10 foto, è bene che queste ultime, stampate in un formato adeguato (dal 13x18 cm all’A4) siano inserite in una cartellina lasciandole “sciolte”. Tu avrai in mente una sequenza (puoi anche numerarle sul retro), ma lascia che sia chi fa la lettura a disporle davanti a sé nel modo che riterrà meglio.
Per definizione un portfolio di questo genere non è rigido, ma lascia spazio all'interazione con l'osservatore.
La gran parte dei grandi fotografi, dei maestri, ha una capacità rara: quella di realizzare opere significative, interessanti, belle a vedersi e che sono in grado appunto di raccontare qualcosa, di mettersi in comunicazione con il pubblico. Una sorta di incantesimo, di magia.
Invece molti fotografi-artisti della nuova generazione sono più interessati al circuito delle gallerie in cui le loro opere verranno commercializzate a prezzi altissimi, e acquistate da ricchi collezionisti che investiranno su opere destinate, sperano, a salire di valore.
La verità però è che gran parte di queste opere non raggiungerà mai il grande pubblico e resteranno ristrette all'interno di una piccola e selezionata cerchia di eletti un po' (o molto) autoreferenziali. Ma quali immagini pensi che resteranno nella storia e lasceranno il segno?
Non c'è dubbio insomma, riuscire a comunicare è importante. Cruciale. Il massimo (e il difficile) è saperlo fare con eleganza e senza rinunciare all'efficacia fotografica.
Per questo, tener conto del giudizio del pubblico non specialistico, addirittura nazional-popolare, è davvero molto, molto importante. Ma senza lasciarsi condizionare al punto da snaturare il senso della propria opera.
Il tuo obiettivo dovrebbe essere quello di "educare" il tuo pubblico, mostrando fotografie che non si basano esclusivamente sul soggetto ripreso, ma che mostrino la tua capacità di interpretarlo. Il tuo nemico è il cosiddetto "effetto finestra", quello secondo cui le persone non guardano la tua foto, ma quello che vi è rappresentato.
Certo, tutto questo se diamo per scontato che tu stia fotografando per te stesso. La realtà è che tutto questo dipende prima di tutto da qual'è il motivo per cui fai le tue foto.
Io ho potuto verificare come il pubblico generalista possa incidere sulle scelte fotografiche proprio lavorando con le riviste.
Qualche aneddoto, giusto per intenderci.
1. Tu lo sapevi che nel deserto del Sahara la sabbia non è giallo-oro? Ma la gente pensa lo sia, e perciò le foto scattate in questo ambiente vengono abbondantemente filtrate per essere "del colore giusto".
2. Come fotografo saprai che un cielo azzurro è drammaticamente banale e piatto, e che le foto di paesaggio vengono meglio con bei nuvoloni tempestosi che galleggiano nella vastità celeste.
Ebbene, nonostante i miei sforzi, ho pubblicato ben poche foto, sulle riviste di viaggio, con cieli tempestosi. Le realizzavo, ovviamente, e ogni volta ci speravo, ma niente: gli art director volevano foto con cieli sereni, meglio col sole pieno, perché questo fa tanto "vacanza".
Chi vorrebbe partire per un viaggio quando c'è in corso una perturbazione?
3. Nella mia carriera ho realizzato centinaia di cartoline e poster. Nella gran parte dei casi, chi guarda queste immagini non pensa "guarda che bella foto!", pensa "guarda che bello il Colosseo di sera!".
Certo, la foto dev'essere ben fatta, ben composta, con una bella luce, ma è come se il fotografo accettasse di farsi trasparente e di mostrare al meglio qualcosa che le persone apprezzano.
E' il temuto effetto finestra all'opera. Ed è fondamentale, ad esempio, nelle foto di un catalogo: nessuno si mette ad ammirare le foto di una simile pubblicazione, vuole solo vedere al meglio la merce rappresentata.
4. Pensa a tutti quei professionisti che lavorano nel campo della riproduzione d'arte. Quasi nessuno pensa che ammirando un libro con i dipinti di Caravaggio, in realtà si stanno ammirando "foto dei dipinti di Caravaggio", eppure è così. Spesso il nome del fotografo che ha utilizzato tutta la sua maestria a questo scopo non è nemmeno citato nel colophon del libro.
Tutto questo per dire che la prima cosa a cui pensare deve essere qual'è il reale scopo del tuo progetto.
Se quel che vuoi ottenere è un insieme di immagini che serva a "vendere" qualcosa (un'idea come anche cose più concrete), allora devi invertire i consigli che ti ho dato sinora, e lavorare per accontentare i gusti del pubblico, anzi solleticarli!
Lo scopo di questo corso è di darti gli strumenti per esprimerti in modo libero e creativo, e di comunicare adeguatamente attraverso le fotografie, non di fare di te un fotografo commerciale. Ma sappi che anche se deciderai per questa strada, tutto quello che stai imparando sono certo ti sarà utile.